Oggi voglio raccontarvi qualcosa di cui non sento parlare moltissimo, ma che nella mia vita professionale ha avuto e ha il suo peso: il turismo industriale.
Sarà che in Italia quando si pensa al turismo siamo tutti pronti a citare arte, cultura, storia, enogastronomia e qualche eccellenza naturalistica (quel che è rimasto, mi vien da dire), ma di quella che è stata la storia industriale si tende un po’ a dimenticarsi. Forse perché molte delle figure professionali che si occupano di turismo hanno formazione e passioni di area umanistica e tradizionale… e, forse, a volte un certo “snobismo”. È solo un’ipotesi. La mia esperienza, comunque, è stata completamente diversa: con una formazione umanistica, è però proprio grazie al turismo industriale che ho cominciato a lavorare nel settore, ormai una decina di anni fa. Vivo a Sassuolo, nel cuore del Distretto Ceramico, vivo in provincia di Modena, nel cuore pulsante della Motor Valley.
Al patrimonio e al turismo industriale guarda anche l’Unione Europea, con l’obiettivo di presentare nuovi prodotti e differenziare l’offerta. Ma non solo: c’è un altro importante obiettivo dichiarato, ovvero quello di contribuire alla ripresa economica e alla creazione di posti di lavoro nelle regioni in declino post industriale.
Mi ripropongo di parlarne molto anche nei prossimi post, perché, come dicevo, è un tema che conosco bene e che mi tocca da vicino. Se ne parla poco e io penso proprio di poter dire qualcosa. Ho coordinato per 8 anni l’info point regionale Motorvalley, con sede presso il Museo Ferrari di Maranello, che orientava i turisti interessati alla scoperta del patrimonio motoristico dell’Emilia-Romagna. E ho collaborato alla realizzazione della sezione multimediale Manodopera del Museo della Ceramica di Fiorano Modenese (se ne parla qui), un impegno durato quasi 10 anni e che ancora mi vede impegnata, stavolta nell’opera di promozione del Museo stesso e del Castello di Spezzano, che lo ospita.
Cos’è il turismo industriale?
Prima di tutto, occorre sapere di cosa parliamo. Proverò a chiarire le idee osservando il turismo industriale da tre punti di vista diversi: quello del turista, quello delle aziende e quello degli operatori del turismo/del territorio. Ci sarebbe, come sempre, anche il punto di vista dei residenti… come leggerete, in questo caso sta a cavallo tra quello delle aziende e quello del territorio.
Per il turista
Mi piace partire sempre dal punto di vista del turista. Per il turista si tratta di andare alla scoperta delle tradizioni produttive dei territori, visitando un’azienda, un’area industriale, anche percorrendo itinerari che includano diverse tappe (diverse aziende o diversi luoghi, protagonisti ad esempio delle varie fasi del processo produttivo, dalla materia prima al test, al lancio sul mercato).
Chi sono questi turisti? Possono essere turisti leisure, che integrano quest’esperienza nel loro viaggio o ne fanno la motivazione principale, ma sono anche turisti business, clienti, studenti, che hanno a vario titolo interesse per quel prodotto e per come viene realizzato. Il punto è spesso proprio questo: la curiosità di vedere dove un prodotto nasce e come lo si progetta e lo si realizza, chi lo fa, con quali strumenti, quali conoscenze… Interessa conoscere com’è cambiato nel tempo e, magari, anche cosa bolle in pentola per il futuro. A volte, se non è facile farlo diversamente, ad esempio reperirlo dove si vive, interessa provarlo, assaggiarlo, sperimentarlo. Spesso, anche, si ama comprare il prodotto, lì dove nasce… Vuoi mettere? Mi spingo ancora più in là: a volte si vuole provare a fare, mettersi al lavoro… e si è persino disposti a pagare!
Vi sembra strano? Forse perché non avete mai fatto quest’esperienza. Vi assicuro che vedere come le cose vengono realizzate, quale esperienza e sapienza ci stiano dietro, quale lavoro di ricerca, ingegno ed ostinazione… è davvero affascinante. Come lo sono le storie degli imprenditori, tra fallimenti e colpi di genio, e quelle delle aziende, che in fondo sono pur sempre fatte di uomini (e qui cito Enzo Ferrari, così come mi è stato raccontato in questo documentario) e delle loro storie. Non vale solo per l’artigianato (dove comunque molta industria affonda le radici, a volte collocandosi a metà strada) e l’enogastronomia.
C’è poi tutto il discorso del Made in Italy e dell’appeal che ha sugli stranieri, tanto che alcuni fanno dello shopping uno degli scopi principali del loro viaggio. Penso agli orientali, ma non solo. Attenzione, poi, che secondo il paese di provenienza le preferenze sono diverse e non tutto il Made in Italy interessa. Ad esempio può interessare l’abbigliamento, ma non il cibo. O l’esatto contrario.
Per le aziende
Il patrimonio industriale è qualcosa che tante volte svalutiamo, tanto che il tema della protezione dei siti e della loro conservazione è spesso messo sul tavolo. Non da tutti, purtroppo. E, molto spesso, non dalle aziende stesse. Che buttano letteralmente via la loro storia (ho svuotato tante di quelle “soffitte”…). Che faticano a vedere e cogliere l’opportunità di conservare la loro storia e farne, anche, perché no, un elemento di valore, centrale in uno storytelling efficace, in un’operazione di trasparenza o riposizionamento (ad esempio per raccontare sistemi di produzione green, etici etc…). Insomma: un tassello importante della strategia di marketing fino ad arrivare, a volte, ad essere anche parte integrante del business di quell’azienda, come può esserlo il merchandising.
Capita che non lo capisca l’azienda stessa, ma che l’interesse e l’esigenza da parte del mercato ci sia tutta. Così a volte l’archivio o il museo aziendale non esistono, ma esiste – ed è fruibile – il patrimonio raccolto negli anni da qualche collezionista, che magari in quell’azienda ha lavorato per una vita. Oppure che non sia l’azienda a realizzare il museo, a conservare, ma che se ne incarichi l’ente pubblico che presiede il territorio. Perché in fondo si tratta anche della sua storia, di quella di persone e famiglie la cui vita ha ruotato attorno a quel mestiere, quell’industria, a volte per generazioni. Non dimentichiamo che i distretti industriali spostano le persone, che magari migrano per motivi di lavoro. Le fanno incontrare, le fanno sentire parte di una comunità, ne uniscono le sorti. Non sto parlando di nulla di troppo lontano da me…
Questo non significa certo che si possa prescindere dalle aziende. Anche perché sono apprezzati archivi e musei, ma il vero sogno resta quello: entrare in fabbrica! Passato e presente, insomma. Entrambi.
Le aziende possono poi essere la meta del turista o il tramite attraverso il quale il turista business (clienti, rivenditori, consulenti…) arriva al Museo, a conoscere il patrimonio industriale e, anche, il territorio. Perché son pochi quelli che si chiudono volentieri tra uffici e camere d’albergo e non hanno la curiosità di vedere qualcosa di più, di assaggiare le specialità, di curiosare un po’ in giro. Peccato che a volte vengano abbandonati a sé stessi, magari perché l’aereo riparte solo il sabato e il referente aziendale il sabato non lavora… così, se non sono un po’ intraprendenti, se ne vanno senza avere visto nulla.
Per il territorio e gli operatori del turismo
Neanche tanto tra le righe, ho già introdotto questo terzo punto di vista. Il turismo industriale e del Made in Italy è una possibilità per il territorio. Esiste il turismo business di chi viaggia per lavoro e inevitabilmente si trova a fruire di servizi turistici, quali alberghi e ristoranti, ma che può essere attratto e coinvolto anche da proposte aggiuntive. Qui però tocca anche agli attori del turismo e a tutto il territorio “farsi sotto”. Come detto, poi, anche studenti e turisti leisure possono essere attratti da questo tipo di mete. A volte però faticano a trovare risposte adeguate in un territorio che fino al giorno prima non faceva del turismo leisure o scolastico una fonte di reddito. La conseguenza è la mancanza di servizi adeguati, ad esempio di strutture ricettive adatte ad ospitare scolaresche (per prezzo, per tipologia), di ristoranti con numero di coperti adeguati, di parchi attrezzati per pranzi al sacco, posteggi adatti a pullman, servizi per famiglie… e così via. Al solito, se si pensa di avere questo potenziale, se i segnali ci sono, può valere la pena di saper cogliere una tendenza e adeguarsi…
Conclusioni
Insomma, il turismo industriale funziona, prende piede… e potrebbe funzionare ancora meglio! Quel che manca, forse, sono la consapevolezza (da parte di tutti o di alcuni) e di conseguenza una rete di attori adeguata che lavori nel senso di una visione comune. Ma quando si comincia a fare qualcosa, si muovono i primi passi, vi assicuro che i risultati non mancano…